SENECA: I "DIALOGHI-TRATTATI" - PRIMA PARTE



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TESTO

 

SENECA: I "DIALOGHI-TRATTATI" - 1° PARTE

 

Il primo gruppo dei dialoghi - trattati comprende il "De ira", il "De brevitate vitae" e il "De vita beata".

Il "De ira" risale al 41 quindi è successivo alla morte di Caligola. Lo scopo di questo dialogo è quello di aiutare a combattere l'ira che secondo Seneca, e secondo tutti gli stoici, è una passione terribile, in quanto offusca la ragione che è la facoltà più importante dell'uomo. Per raggiungere questo scopo Seneca propone vari rimedi sia per prevenirla che per eliminarla; uno di questi è il cosidetto "esame di coscienza" da fare ogni sera ripercorrendo quei momenti della giornata in cui ci si è fatti prendere appunto da questa passione folle. Un esempio di personaggio "affetto" dall' ira è l'imperatore Caligola, definito da Seneca "una belva crudele".

Altro dialogo - trattato è il "De brevitate vitae", letteralmente "Sulla brevità della vita", la cui data di composizione è il 49, successiva al ritorno di Seneca dall'esilio. E' dedicato all'amico Paolino e lo scopo è quello di confutare l'idea comune secondo la quale la vita sarebbe troppo breve. Per dimostrare ciò Seneca usa due argomentazioni: una è che in realtà, se la si usa bene, la vita è sufficientemente lunga, l'altra è che questa idea sbagliata nasce da quelle persone che Seneca chiama gli "occupati" cioè coloro che ricercano la felicità fuori da sé stessi e di conseguenza sprecano la loro vita, la cui durata quindi diventa troppo breve, in quanto in realtà non è pienamente vissuta.

Altro dialogo - trattato è il "De vita beata" letteralmente "Sulla vita felice" o "Sulla felicità". Risale al periodo in cui Seneca era correggente dell'impero insieme a Nerone. Lo scopo principale è quello di definire che cosa sia la felicità. Seguendo lo stoicismo Seneca afferma che la felicità è vivere secondo natura, in particolare seguendo la ragione, e quindi coincide con la virtù, che consiste nell'essere padroni di se stessi. Un altro scopo di S. è quello di difendersi dalle accuse di incoerenza tra ciò che egli predicava, cioè appunto la ricerca della virtù, e ciò che praticava, cioè la ricerca di ricchezze da accumulare. Per difendersi da queste accuse sviluppa l'argomentazione secondo la quale il saggio non ha bisogno della ricchezza, ma preferisce comunque essere ricco per essere libero da impegni e potersi dedicare a se stesso e al proprio perfezionamento morale.


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